L’uomo è per sua natura orientato alla socialità e immerso in numerosi contesti relazionali. Essere in relazione con gli altri e far parte di un gruppo è quindi qualcosa di naturale nelle nostre vite: nasciamo in un piccolo gruppo, la famiglia, per poi entrare a far parte di altri gruppi quando allarghiamo le nostre relazioni sociali: gli amici, il gruppo classe, i colleghi…
Lo sviluppo della nostra personalità e di tutti i processi di elaborazione e organizzazione cognitiva delle esperienze (Kelly, 1955), si costruiscono sempre nella relazione con l’altro e con la realtà esterna, in un continuo processo di costruzione e ricostruzione sociale della realtà (Berger e Luckmann, 1966).
Perché il gruppo e come ha favorito la mia crescita personale.
La scelta di approfondire il tema dei gruppi di incontro, ma anche il desiderio di viverne direttamente l’esperienza, affonda le radici nella mia storia personale. Più in generale, posso dire che la dimensione di gruppo mi ha sempre affascinato e incuriosito e ha esercitato un grande impatto sul mio percorso di crescita: ha evidenziato criticità, orientato tante scelte, sollecitato dubbi, scatenato conflitti.
Inizialmente mi avvicinavo a tutti i gruppi con grande cautela e con il timore di essere giudicato. Questo talvolta scaturiva in me una sensazione di disagio, di apprensione, che mi portava spesso a scegliere comportamenti che si discostavano da quello che sentivo profondamente. Proprio questo vissuto di apprensione, mi ha sollecitato poi a chiedere il supporto di una terapia: in un primo momento a livello individuale, successivamente proprio con una esperienza di gruppo di incontro.
Farne esperienza diretta mi ha dato l’opportunità di conoscere meglio gli altri, ma soprattutto di incontrare e conoscere più in profondità me stesso. Un percorso nel quale sentivo di poter gradualmente sperimentare e condividere vari tipi di sentimenti e di emozioni, senza sentirmene travolto o sentirmi inadeguato e fuori posto. Ogni volta sentivo crescere la possibilità di essere me stesso pur essendo in compagnia di altre persone e che tutto questo non comportava giudizi negativi sul mio conto, sia da parte degli altri ma soprattutto da parte mia. Inoltre, tutte le volte che riuscivo a contattarmi profondamente, mi accorgevo di quanto migliorasse la qualità dell’incontro con gli altri.
Intrapreso il percorso formativo come psicoterapeuta, ho iniziato a vivere l’esperienza anche da altre prospettive ed in contesti differenti: prima da allievo in formazione, poi da terapeuta. Proprio facilitare gruppi di incontro mi ha dato l’opportunità di cogliere in modo ancor più chiaro l’impatto positivo che il gruppo esercita sui partecipanti: stimola autorivelazioni, condivisioni profonde, solidarietà e sostegno reciproco, cura del vissuto di isolamento e solitudine esistenziale, insight, apprendimento dall’esperienza altrui.
Da qualunque prospettiva lo guardassi, ho comunque constatato quanto il gruppo di incontro faciliti la crescita personale e consenta ai partecipanti di sperimentare relazioni maggiormente autentiche.
Struttura ed organizzazione di un gruppo di incontro.
Proverò ora a descrivere brevemente come è strutturato e in cosa consiste un gruppo di incontro, partendo da una esaustiva definizione che ne dà Aida Marrone:
Il gruppo di incontro è generalmente costituito da un numero non troppo vasto di persone, che possono variare da un minimo di 8 ad un massimo di 18 partecipanti.
È una esperienza che solitamente prevede cicli di incontri della durata di circa novanta minuti.
“Le persone si riuniscono in una situazione poco strutturata e priva di direttive, all’interno della quale si impegnano reciprocamente a rispettare poche regole essenziali ai fini del processo: il rispetto dei tempi di inizio e conclusione; la libera espressione dei propri sentimenti, inclusi, qualora l’interessato lo dovesse ritenere opportuno, quelli di natura negativa e aggressiva; il divieto di agire tali sentimenti (acting-out); il patto di confidenzialità” (Marrone, 2001, p. 7).
Il gruppo di incontro può essere proprio considerato un “microcosmo sociale” (Yalom, 1970, tr. it. 1997), all’interno del quale la libera interazione e le scarse limitazioni strutturali consentiranno ad ogni persona, dopo un certo lasso di tempo, di essere sé stesso ed avere con i membri del gruppo interazioni analoghe a quelle vissute nella sua sfera sociale. Ogni persona potrà così “ricreare all’interno del gruppo lo stesso universo interpersonale nel quale ha sempre vissuto. In altre parole, i clienti cominciano a manifestare nel gruppo il proprio comportamento interpersonale non adattivo” (Yalom, 1970, tr. it. 1997, p. 54).
Secondo Carl Rogers il gruppo è una forma di incontro che “tende ad esaltare la crescita della persona e lo sviluppo ed il miglioramento della comunicazione e dei rapporti interpersonali, attraverso un processo di esperienza diretta” (Rogers, 1970, tr. it. 1976, p. 12). L’autore nei suoi scritti evidenzia proprio il potere curativo del contatto interpersonale: il confronto con gli altri, la condivisione di un proprio disagio e la comprensione altrui, sono tutti elementi che possono favorire il superamento del proprio malessere, il cambiamento e la crescita. Nel formulare la sua teoria sui gruppi, l’autore non modifica il suo impianto teorico di base: il gruppo, al pari dell’individuo, è dotato di una propria “tendenza attualizzante”, ossia una capacità direzionale e formativa naturalmente orientata verso lo sviluppo e l’attualizzazione delle sue potenzialità. Affinché il gruppo possa esercitare le sue potenzialità curative e di crescita sui partecipanti, occorre che il facilitatore, attraverso il suo atteggiamento, crei un clima relazionale caratterizzato da “accettazione positiva incondizionata”, “empatia”, “autenticità e congruenza” (queste sono le tre condizioni necessarie e sufficienti che secondo Carl Rogers contribuiscono a creare in una relazione terapeutica quel clima psicologico facilitante che stimola la crescita e l’autocomprensione della persona, consentendole di sbloccare il potenziale “congelato”). Il facilitatore, pur mantenendo il suo ruolo, è così anche un partecipante che entra in modo diretto nella relazione con il gruppo nel “qui ed ora” dell’esperienza.
Quella di Carl Rogers è una visione di tipo fenomenologico-esistenziale: preferisce infatti non parlare di terapia di gruppo o di effetti terapeutici, ma sottolineare che “il gruppo ha l’effetto di uno stimolo psicologico all’accrescimento” (Rogers, 1970, tr. it. 1976, p.118). Esiste infatti una fondamentale differenza tra la psicoterapia di gruppo ed il gruppo di incontro. Nella terapia di gruppo solitamente il terapeuta sceglie la tematica imprimendo così una direzione all’esperienza. È caratterizzata dal confronto e dalla condivisione attorno alla tematica scelta. Nel gruppo di incontro invece la direzione viene scelta ogni volta dai partecipanti: è il gruppo che sceglie la propria direzione, e si confronta e condivide su temi che nascono nel “qui ed ora” della relazione.
Secondo Rogers è inoltre possibile scorgere degli elementi comuni nelle esperienze di gruppo: ritiene infatti che il processo passi attraverso una serie di stadi, ma sottolinea anche che, all’interno di ogni specifico gruppo, tali tendenze possono manifestarsi in differenti momenti senza seguire una precisa sequenza e che non necessariamente appaiono in ogni gruppo ed in modo ugualmente evidente.
Le fasi che affronta il gruppo.
Le fasi sono:
- Girare a vuoto;
- Resistenza all’espressione o all’indagine personale;
- La descrizione di sentimenti passati;
- Espressione dei sentimenti negativi;
- Espressione e investigazione del materiale personalmente significativo;
- Espressione di sentimenti interpersonali immediati nel gruppo;
- Lo sviluppo di capacità curative all’interno del gruppo;
- Accettazione di sé stessi e inizio del cambiamento;
- La rottura delle facciate;
- Lo scambio di feedback;
- Il confronto;
- L’utilità del rapporto fuori dal gruppo;
- L’’incontro fondamentale;
- L’espressione dei sentimenti positivi e l’intimità;
- Cambiamenti di comportamento nel gruppo.
Autore:
Dott. Roberto Iannotti, psicologo e psicoterapeuta rogersiano.